La strada di Levi
La vicenda di Primo Levi nel campo di Auschwitz è nota ai più, per il libro "Se questo è un uomo", ma cosa accadde allo scrittore ebreo dopo la liberazione molto meno. Ora il regista Davide Ferrario (tra i suoi film più noti, "Tutti giù per terra" e "Dopo mezzanotte") ha realizzato un documentario sul viaggio che Primo Levi fece per tornare a Torino dal campo di sterminio di Auschwitz, presentato, proprio oggi, alla Festa del Cinema di Roma. Non solo un ritorno a quelle atmosfere e a quei drammi, che Levi ha raccontato nel libro "La tregua", ma soprattutto un film che, attraverso l'intelligenza dello scrittore torinese racconta l'Europa di oggi. Comincia così il viaggio vero e proprio del regista, in compagnia dello scrittore Marco Belpoliti. Risultato: seimila chilometri, dieci frontiere attraversate, dieci settimane di ripese. L'inizio è ad Auschwitz; segue la visita - insieme al regista polacco Andrej Wajda - di un'immensa acciaieria deserta, vicino Cracovia. Poi tocca alla Bielorussia, paese segnato per sempre dalla tragedia di Chernobyl: come si capisce dalla città fantasma di Prypiat, che prima del disastro contava 50 mila abitanti. Ed è proprio qui che, come racconta Belpoliti, c'è stato uno degli incontri più toccanti: "Abbiamo conosciuto un uomo, Vladimir, che ci ha voluto accompagnare - ricorda - tra l'altro suo figlio è uno dei bambini ospitati in Italia, all'indomani dell'incidente. I suoi silenzi, in quella desolazione, mi hanno segnato profondamente". Sul versante politico, invece, la Bielorussia è un paese ostico. "Un vero e proprio regime - dice Ferrario - non a caso, abbiamo dovuto avere a che fare con un personaggio che di mestiere fa il 'responsabile distrettuale dell'ideologia'. Quando siamo stati con lui, ho detto agli operatori di filmare: ne è venuto fuori una sorta di reality show, in cui ci spiavamo e ci controspiavamo a vicenda".
E dopo la Bielorussia, ecco la Moldova, con relativo viaggio in un autobus pieno di immigrati diretti in Italia. Poi, in Romania, la traversata sul Danubio; poi l'Ungheria, con tappa in un mercato gestito dai cinesi; e ancora la Germania, con tanto di raduno neonazista. A dimostrare che, dall'epoca di Levi, il lato oscuro dell'uomo ancora resiste.
Infine, il ritorno nel nostro Paese, con l'incontro con un altro personaggio che ha vissuto quella stagione: Mario Rigoni Stern. "Lo abbiamo scelto perché è una sorta di opposto complementare di Levi - spiega ancora il regista - uno si è suicidato, l'altro è ancora pieno di vita. Nel finale, volevamo che rappresentasse la speranza". Quello che però resta, dell'avventura raccontata dal film, non è il rientro, ma il percorso. Come conferma l'autore. "Questo è un road-movie - conclude Ferrario - e nei road-movie l'importante è il viaggio, non l'approdo".

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