mercoledì, novembre 22, 2006
martedì, novembre 14, 2006
The Gentlemen's Agreement

Giovedì 16 Novembre
Dicono di loro:
"I Gentlemen's Agreement sono una miscellanea di umori...
Sono nati da una mia pretesa di cantare la musica che scrivo: CaMpAgNa, SpIgHe, MuCcHe, CaMpAnAcCi, è questo il sound che mi piace!!!
Il risultato sta piano piano prendendo una forma più precisa... Non c'interessa molto la scena napoletana attuale, è formata da troppi bagoni, quindi preferiamo starcene in disparte, organizzandoci i Mini Tour da soli... fottercene di tutto (anche se è difficile!!) e tirare avanti, certi che l'unica cosa che ci spinge a suonare è la PASSIONE per la musica!!
Senza una passione si muore d'inedia, e quindi essendo la cosa più salutare che sappiamo fare la portiamo avanti con orgoglio!!!
Speriamo di andare avanti, avanti, avanti, sempre, e speriamo d'incontrare tante altre fottute persone!!!!"
Ohhh Man!!! We are just three, and it's better!!
Raffaele Giglio:Vocals,GUITAR,Banjo,Ukulele,Cavaquinho
Ivan:BASS, Acoustic Guitar,Cavaquinho
Luca " The Disinfestator": DRUMS, shaker shaker.
The Gentlemen's Agreement
giovedì, novembre 09, 2006
Garage Olimpo
Dall'Unità:Il nove e il dieci novembre verrà inserito un altro tassello nel complicato mosaico delle sparizioni legate alla dittatura argentina: si apre a Roma, nell´aula bunker di Rebibbia il secondo processo italiano, per la scomparsa di cittadini italo-argentini negli anni della dittatura che governò il Paese dal 1976 al 1983.
Tutto ha inizio il 24 marzo 1976, quando il generale Jorge Videla instaura il regime militare. Quelli furono gli anni bui della dittatura, gli anni della guerra sucia (guerra sporca), dove sequestri, sparizioni e esecuzioni sommarie costarono la vita a oltre trentamila persone.
Tra i tanti desaparecidos (scomparsi) a non fare più ritorno, tre persone italo-argentine che furono detenute nella base sotterranea della caserma della marina militare denominata Esma; un luogo di tortura, posto nel centro di Bueno Aires, dove sono passate 5.500 persone senza fare più ritorno.
«Per loro e per chi non ha ancora ottenuto giustizia stiamo combattendo anche con questo processo» spiega Innocencia Luca vedova di Giovanni Pegoraro e madre di Susanna, entrambi desaparecidos visti ancora vivi l´ultima volta nella caserma dell´Esma da numerosi testimoni.
Susanna quando scomparve aveva 21 anni ed era incinta. Il suo successivo omicidio e la sottrazione del figlio sono stati provati dalle inchieste delle associazioni umanitarie argentine Madres de Plaza de Mayo e Abuelas de Plaza de Mayo (madri e nonne della Plaza de Mayo di Buenos Aires, la piazza antistante il palazzo della presidenza, dove le donne si riuniscono ogni giovedì dal 30 aprile del 1977 perché vogliono conoscere il destino dei loro congiunti).
«A pagare per questa e per altre storie di morte sono stati in pochissimi fino ad oggi, ma, in questo trentesimo anniversario dal golpe argentino, il rinvio a giudizio di cinque militari responsabili delle stragi ci apre un futuro di speranza e ci fa fare i conti con un passato tragico. L´impunità di cui hanno goduto sino ad ora questi assassini deve essere superata attraverso la giustizia». A parlare è Estela Carlotto, presidente delle Abuelas de plaza de Mayo che, per la causa che difende è stata vittima di un attentato.
«Ma le vittime della guerra sporca meritano giustizia» spiega Estela che ha visto scomparire la figlia ventitreenne incinta di un nipote portato via da sua madre cinque ore dopo il parto. «Siamo grati al pubblico ministero Francesco Caporale che ha ottenuto il rinvio a giudizio del latitante Jorge Vildoza, ricercato in Spagna e in Italia, dei già detenuti Jorge "tigre" Acosta , Antonio Febres, Antonio Vanek e Alfredo Astiz, con l´accusa di omicidio volontario premeditato».
Il soprannome che veniva attribuito a questi personaggi durante il regime era angeli della morte e si capisce perché dal racconto raccapricciante di alcuni testimoni: «i prigionieri che venivano caricati sugli aerei venivano addormentati con un sonnifero, poi dopo un´iniezione di sedativo più potente, venivano buttati vivi nel mare, un´esecuzione senza appello che i soldati argentini avevano appreso, insieme ad altri metodi controrivoluzionari, dai fuoriusciti francesi della guerra d´Algeria che avevano trovato riparo in Sud America».
Una battaglia difficile per punire i colpevoli di questo silenzioso genocidio che è potuta continuare solo grazie all´abolizione delle leggi sull´immunità, da parte della suprema Corte di giustizia argentina. Leggi che proteggevano i responsabili di quelle atrocità. In Argentina sono attualmente in corso almeno 100 processi con 230 militari e poliziotti in stato d´arresto. A luglio 2006 c´è stata la prima condanna di un sottufficiale della polizia federale che ha avuto 25 anni di carcere per aver torturato prigionieri.
«Questa è un grande passo avanti per chi ha dovuto assistere a certe ingiustizie per chi quegli orrori li ha vissuti», spiega il regista Marco Bechis, che a vent´anni venne sequestrato e detenuto dai torturatori argentini per quattro mesi in un carcere clandestino chiamato Club Atletico. Bechis decise di farne un film Garage Olimpo.
E tra le tante iniziative proposte per la memoria del genocidio c´è la traduzione teatrale del lavoro di Bechis che va in scena martedì 7 novembre, al teatro l´Orangerie di Roma. Un progetto che, spiega il regista, è un modo per far capire davvero agli spettatori le paure e l´angoscia dei desaparecidos. Un palcoscenico che sarà una prigione, gli spettatori esposti in prima persona al terrore e al supplizio.
«Dietro questa scelta si nasconde il forte desiderio di avere giustizia chiedendo aiuto anche ai cittadini italiani che devono sapere - spiega Bechis - perché la sentenza italiana non avrà valore in Argentina se i processati non compariranno, si emetterebbero condanne in contumacia, ma la procedura argentina non prevede questo tipo di giudizio, per cui non riconoscerebbe la sentenza di Roma e un´altra impunità sarebbe compiuta».
domenica, novembre 05, 2006
giovedì, novembre 02, 2006
Napoli marcia
E' un po' lungo ma vale la pena...
"Adesso c'è qualcuno che pensa di mandare l'esercito a Napoli per ridare un minimo di sicurezza e di decenza alla città. Ma non servirà a niente. Perchè il problema è un altro. Il problema sono i napoletani. Se Napoli è ridotta com'è ridotta i principali responsabili sono innanzitutto loro, la loro mentalità, il loro modo anarchico e pressapochista di porsi verso la vita che andava bene un tempo - anzi era di grande sapienza - ma che oggi, per una serie di ragioni, non funziona più. A Napoli esiste una illegalità capillare, diffusa in tutti i ceti sociali, dal più alto al più più basso, che fa da sostrato alla criminalità vera e propria.
Quest'estate me ne venivo in taxi dall'aeroporto canicolare e patibolare di Napoli, dove anche un bambino potrebbe introdurre un kalashnikov, per andare al porto. Il taxista, socievole come son quasi sempre i partenopei a meno che non appartengano alla linea triste Eduardo-Totò, ad un certo punto mi fece notare che non aveva il bollo: "Se non ce l'ho io, che faccio il taxista - disse ridendo - immagini gli altri". A Napoli nessuno si sogna di pagare il canone Tv o di rispettare un senso unico. Ognuno, come si sa, si arrangia a modo suo. Le pensioni d'invalidità sono un ottavo del totale nazionale. Non c'è chi, anche nelle classi benestanti e 'Hight educated', non abbia almeno un cugino camorrista al quale si rivolge, invece che allo Stato, quando ha da risolvere un qualche problema, piccolo o grande che sia.
La contiguità fra Napoli-bene e Napoli-male è un dato storico, un retaggio del periodo borbonico e feudale, ai tempi in cui signori e 'pezzenti' vivevano gomito a gomito. Di tale contiguità feci io stesso esperienza quando, a metà degli anni sessanta, con la prima macchina mi spinsi fino alla capitale partenopea e ricevetti dai napoletani un paio di salutari lezioni di vita di cui sono loro ancora grato. Posteggiai al limitare dei Quartieri spagnoli, con tutti i bagagli dentro, davanti a un grande bar, che mi pare si chiamasse 'Scarpinato', noto ritrovo di malandrini. Ad unica mia scusante c'è che avevo solo 21 anni. Poi con la mia ragazza ci addentrammo per le viuzze.
Quando ritornammo della macchina naturalmente non c'era più traccia. Stavamo seduti, sporchi e immalinconiti, davanti a una minuscola postazione di caramba, dove avevamo fatto l'inutile denuncia, quando passò un ragazzo poco più grande di noi. Ci vide in quello stato e ci chiese cosa fosse successo. Glielo raccontammo. "Beh" disse "vi ospito io finchè non avrete ritrovato la macchina". Viveva in una splendida casa a Mergellina. I suoi erano via per un viaggio di piacere. Per tre giorni ci portò in giro per Napoli facendoci vedere soprattutto i bassifondi e la città sotterranea. Passato questo tempo decise che era venuto il momento di ritrovare la macchina. La sera andammo sul lungomare di Mergellina, pieno di luci, di colori, di suoni e di bancarelle di cozzicari.
A colpo sicuro si diresse verso uno di loro, un monoculo soprannominato 'U' Scurnacchiato', che pareva uscito dalla Corte dei Miracoli, e gli spiegò la situazione. 'U' Scurnacchiato' ci squadrò, poi, rivolgendosi a me, disse: "La macchina la ritroverete senz'altro". Ma, ridendo col suo unico occhio, aggiunse: "I bagagli no, altrimenti che mariuoli saremmo?". Alle sette di mattina del giorno dopo ci telefonarono i carabinieri che, con aria piuttosto soddisfatta, ci annunciarono che avevano ritrovato la macchina. Un mese dopo mi arrivò, a Milano, una busta chiusa e anonima con dentro tutti i documenti.
Ma quella di quarant'anni fa era ancora
Era ancora una Napoli umanissima e splendida pur nella sua già evidente decadenza che ne 'La pelle' Malaparte aveva così crudamente descritto, lo scrittore inglese John Horne Burns ne 'La galleria' e il neorealismo cinematografico con film come 'Paisà' di Rossellini e 'Sciuscià' di De Sica. Ma che 'economia del vicolo' ci può essere, oggi, in quartieri come il 'Traiano', nei comuni dell'immenso e impressionante hinterland vesuviano, in paesi come Torre del Greco o Torre Annunziata, un tempo deliziosi, e ora uniti da un'unica colata di cemento.
Che umanità ci può essere? Scriveva già nel 1977 Antonio Ghirelli in 'Napoli italiana': "Distrutta l'economia del vicolo la popolazione più povera viene ammassata nei comprensori della cintura esterna...e si compie una mutazione antropologica che cancella gli ultimi tratti della gentilezza partenopea...Posillipo, il Vomero, i colli Aminei sono presi d'assalto mentre la costruzione dell'ignobile rione San Giuseppe-Carità estende la metastasi nel cuore del centro storico, riducendo ai minimi termini la popolazione dei vecchi quartieri e le sue possibilità di sopravvivenza...la colata di cemento continua ad avanzare in tutte le direzioni, verso Secondigliano e Ponticelli, verso Camaldoli e
La degradazione di Napoli è stata innanzitutto ambientale e ha trascinato con sè quella esistenziale, sociale e criminale. "Anche un ragazzo povero può crescere felice col sole e con il mare" scriveva Albert Camus. A Napoli il sole non c'è più. Se la si lascia con la nave la si vede immersa in una caligine fosca. Se guardate il mare da terra vi può sembrare ancora azzurro per un'abitudine ottica. Ma visto dall'aereo è marrone quasi fino a Capri. I napoletani vivono in questa abitudine ottica e credono ancora - o fingono - di avere 'O sole mio', il mare e il 'golfo più bello del mondo'. Ma non è più così. Da tempo. E questo, come notava Ghirelli, ha cambiato il loro carattere. "Hai un bel dire del buon carattere partenopeo - mi diceva tempo fa un mio giovane amico di Napoli- "ma quando ti tocca perdere ogni giorno tre ore del tuo tempo nel traffico, in una città caotica e sporca, quando la sera torni a casa sei stressato, peggio di un milanese". E fa male al cuore, per contrasto, vedere in certi dettagli, per esempio nell'eleganza con cui nei caffè del centro il cameriere ti serve, i residui malinconici dello splendore di una città che fu fra le capitali della cultura europea.
Con la città è cambiata profondamente anche la sua malavita che non è più quella bonaria, ironica, scanzonata e professionale dei tempi di 'U' Scurnacchiato'. E' la malavita feroce che si è enormemente arricchita con la speculazione edilizia e non traffica più con le sigarette ma con la droga e i suoi colossali profitti. La guapperia si è mutata in violenza belluina che informa di sè il mood dell'intera città, soprattutto nelle generazioni più giovani, come dimostra anche l'omicidio compiuto l'altro giorno dal sedicenne Salvatore, ragazzo di buona famiglia. E la contiguità, un tempo in fondo innocua, fra Napoli-bene e Napoli-male si è mutata in un diretto intreccio di affari e di interessi in cui è difficile fare distinzioni.
La fantasiosa anarchia napoletana ha distrutto prima il tessuto ambientale della città poi quello esistenziale e sociale. Poteva funzionare quando la società era più semplice, più piccola, più trasparente, più controllabile, più umana. Adesso è solo autodistruttiva. Nella complessità e nell'anonimato della modernità ha finito per cancellare l'habitat in cui era possibile. Napoli, con o senza esercito, non è più redimibile. E' marcia fino al midollo. Perchè non più redimibili sono i napoletani. E l'impressione è che anche l'Italia, se continuerà sulla strada , che ha imboccato da tempo, dell'anarchia, della faciloneria, del pressapochismo, dello 'stellone', del 'mi arrangio come posso', dell'illegalità non solo diffusa ma anche sotterraneamente ammirata, come, sotto sotto, è ammirato il guappo che con un coltello ha messo sotto due ragazzi più grandi di lui, diventerà un'unica avvilente e invivibile Napoli."
Tratto da: www.gazzettino.quinordest.it


